Carte del Catasto Borbonico
Agli inizi del 1800 per i Borbone delle due Sicilie si palesò la necessità di conoscere approfonditamente tutti i territori ricadenti
all'interno del Regno. Si volevano acquisire, in altre parole, dati oggettivi su cui ponderare il prelievo fiscale. Fino a quel momento, gli unici documenti ufficiali che in qualche modo potevano
quantizzare il numero di "fuochi" (famiglie sotto lo stesso tetto) e "anime" (cioè gli abitanti) erano
i "riveli", documenti in cui il capofamiglia dichiarava la composizione del nucleo abitativo e il relativo possedimento di beni, erano quindi più
completi degli archivi parrocchiali dei battesimi. Questi registri rimangono in funzione dall'inizio del '500 all'inizio del '800. In molti casi rappresentano strumenti formidabili per
ricostruire la genealogia di una persona. Tali autodichiarazioni, tuttavia, non possedevano una base cartografica su cui evidenziare i vari possedimenti. Inizia così, per volere di Ferdinando II di Borbone, il primo censimento territoriale per la redazione di mappe di dettaglio in cui viene rappresentato l'abitato e
definiti in maniera univoca i confini comunali. L'operazione di censimento catastale iniziata nel 1810, a distanza di quarant'anni, non era del tutto
ultimata, in quanto, non tutti i paesi siciliani risposero alla richiesta fatta dal re di inviare una mappa del proprio territorio. Fù allora che
Ferdinando II di Borbone identificò il marchese Vincenzo Mortilaro di Villarena quale persona adatta per concludere, in tempi brevi, la complessa operazione e lo nominò "Delegato speciale per la compilazione dei catasti in Sicilia". Tre anni dopo, nel 1853, il nobiluomo siciliano proclamò di aver concluso i lavori, e di poter
consegnare il materiale descrittivo al Grande Archivio. Ma subito dopo, inaspettatamente e per ragioni mai del tutto chiarite, Mortillaro decise di non consegnare le mappe e di pubblicarle in
proprio, riuscendo a stamparne solamente una parte, racchiuse in sette fascicoli. A motivo di ciò Mortillaro, travolto anche da una serie di vicissitudini familiari, subì la grave accusa di
cospirazione e si ritirò a vita privata. Da allora, anche a causa della caduta dell’Impero Borbonico, non si ebbero più notizie delle mappe, fin quando, il terremoto che nel 1968 distrusse i
paesi della valle del Belice produsse un insolito risvolto positivo: svelò un tesoro di oltre quattrocento preziose mappe topografiche datate tra il 1837 e il 1853, nascosto e dimenticato per
centinaia di anni dentro una vecchia cassa di un palazzo nobiliare di Montevago conservate dagli eredi del marchese Vincenzo Mortillaro di Villarena. Fra le centinaia di mappe sono state
ritrovate due mappe - "schizzi" - su carta velina di Sampieromonforte. La prima raffigura i confini e le contrade del territorio comunale, all'epoca ancora Sampieromonforte; la seconda
riproduce il centro abitato del paese così com'era nella prima metà del 1800. Gli originali sono conservati presso l'archivio regionale di Palermo.